Al secolo
Giovanni Maria Mastai-Ferretti. Pontefice dal giugno 1846 al
febbraio 1878. Originario di una famiglia della piccola nobiltà
marchigiana, fu ordinato sacerdote nel 1819, al termine di studi teologici e
filosofici, e percorse una brillante e rapida carriera. Inviato come segretario
del delegato apostolico in Cile e Perú (1823-25), al suo rientro a Roma
fu nominato canonico e poi vescovo di Spoleto (1827). In questa città si
guadagnò le simpatie della popolazione, in virtù di una politica
liberale che contrastava con gli atti reazionari della curia romana. Per queste
sue qualità, nel 1832 papa Gregorio XVI lo trasferì alla sede
vescovile di Imola, particolarmente irrequieta e insofferente del restaurato
potere pontificio. Anche qui
P. si fece onore e strinse rapporti solidali
con il legato per la Romagna, cardinale Amat, di orientamento liberale, e
seguì con simpatia gli sviluppi delle teorie politiche neoguelfe di
Gioberti (V.
NEOGUELFISMO). Nel 1840 ottenne la porpora
cardinalizia e nel 1846, quando sempre più pressanti erano le richieste
popolari per una politica riformista anche nello Stato pontificio, fu eletto
papa al termine di un conclave di soli due giorni.
P. iniziò il
proprio pontificato secondo una politica moderatamente riformatrice, ritenendo
altrimenti inevitabile un estraniamento della Chiesa dalla società
contemporanea. Su questa linea si collocò il cosiddetto "editto del
perdono" del 1846, provvedimento di amnistia per i detenuti e gli esuli
politici, che portò la popolazione a considerare con entusiasmo il nuovo
papa, come figura guida nel processo di unificazione e indipendenza della
penisola. Seguirono altre riforme (creazione dell'istituto agrario,
semplificazione dei diritti doganali, riforma del Codice Penale, ecc.), la cui
natura marginale non fu sufficiente alle speranze suscitate in precedenza nei
cittadini.
P. si vide perciò quasi costretto a concedere la
libertà di stampa (seppur limitata da un collegio di censori);
l'istituzione di un corpo di Guardia civica, di una Consulta di Stato eletta dai
comuni e, infine, di un Consiglio dei ministri composto da laici. L'unica carica
necessariamente cardinalizia rimaneva la segreteria di Stato. Il mito di
P. papa riformatore e liberale fu ulteriormente alimentato dalla sua
dignitosa e ferma protesta all'occupazione di Ferrara da parte delle truppe
austriache nel 1847: fatto che gli guadagnò la pubblica
solidarietà di Carlo Alberto, Garibaldi, Mazzini e la fama di difensore
della causa italiana contro gli stranieri. Fu l'ampiezza dell'entusiasmo
suscitato suo malgrado, unitamente all'ondata rivoluzionaria del 1848, ad
avvertire il pontefice della contraddizione insita tra la natura sovranazionale
del Papato e le aspettative a carattere schiettamente nazionale che il
Neoguelfismo aveva acceso intorno ad esso. Mentre egli ancora tergiversava tra
le due opposte necessità, il suo Governo concesse, ultimo tra gli Stati
italiani indipendenti, uno Statuto e, allo scoppio della prima guerra di
Indipendenza tra Piemonte e Austria nel 1848, fu costretto a inviare un
contingente militare, seppur con l'ordine di proteggere solo i confini. L'ordine
fu disatteso e i soldati pontifici penetrarono nei territori del
Lombardo-Veneto. A questo punto
P., paventando la possibilità di
scismi e l'istituzione di Chiese nazionali in Paesi quali l'Austria e la
Germania, infrangendo le speranze risorgimentali, pronunciò nell'aprile
1949 un'allocuzione ai cardinali. In essa egli dichiarò la Chiesa e
il Papato assolutamente neutrali rispetto alle aspirazioni indipendentiste delle
regioni italiane, rifiutò il ruolo nazionale che in un certo senso aveva
recitato fino ad allora e proclamò a gran voce l'universalità
della missione della Chiesa. Tali affermazioni ebbero conseguenze importanti sia
in seno al movimento di indipendenza, in cui i moderati che avevano creduto nel
papa furono emarginati a favore di uomini e progetti più laici e
radicali, sia nei rapporti tra il Papato e gli Stati italiani ed europei. Mentre
il re di Napoli schiacciava il movimento liberale nei territori borbonici,
cresceva l'influenza della Chiesa nelle corti austriaca e francese. A Roma il
Governo guidato da P. Rossi tentò la riforma dell'amministrazione, ma
disordini portarono all'uccisione del primo ministro e all'assedio dello stesso
papa nel palazzo del Quirinale.
P. decise di rifugiarsi nell'Isola di
Gaeta, mentre nella capitale veniva dichiarato decaduto il potere temporale dei
papi e proclamata la Repubblica romana. Il segretario di Stato Antonelli fece
appello alle potenze europee per ricostituire la legittima autorità.
Luigi Napoleone, anche al fine di assicurarsi l'appoggio interno dei cattolici e
del clero francesi, intervenne in armi per restaurare lo Stato pontificio.
Rientrato a Roma nel 1850,
P. instaurò un regime quasi assoluto e
intraprese un rapporto organico di segno conservatore con Austria e Francia
ottenendo, tra l'altro, la firma di un concordato con la corte di Vienna, che
chiudeva vittoriosamente per la Chiesa la lunga lotta contro il Giuseppinismo.
Il Piemonte, unico Stato a mantenere le precedenti posizioni liberali, si
trovò così isolato, essendogli nemici tanto l'Austria quanto il
Papato, mentre la Francia si mantenne defilata fino alla rottura con l'Austria
dopo la guerra di Crimea. La fine dell'alleanza reazionaria tra Austriaci e
Francesi e la successiva seconda guerra di Indipendenza combattuta dal Piemonte
con l'appoggio di Napoleone III crearono difficoltà a
P., che vide
il Regno sabaudo annettersi i territori pontifici di Romagna (1859), Umbria e
Marche (1860). Alle proposte di concordato avanzate da Cavour per la
regolamentazione dei rapporti tra Stato e Chiesa
(V. QUESTIONE ROMANA),
P. rispose con l'intransigenza del
non possumus.
Egli aveva già rivendicato i diritti temporali dell'istituzione
ecclesiastica con l'enciclica
Nullus certi (1860) e mantenne tale
atteggiamento rifiutando ogni possibile compromesso con la neonata Monarchia
italiana, che aveva ormai annesso anche i territori borbonici. Con l'enciclica
Quanta cura (1864)
P. collegò le sue preoccupazioni
politiche, tese a mantenere al Papato almeno il Lazio, all'opposizione
dottrinale e filosofica al liberalismo filosofico e sociale. L'enciclica era
integrata dal
Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores:
indice contenente i maggiori errori del nostro tempo, più noto
sinteticamente come
Sillabo. In esso venivano censurati come perversi,
fra gli altri: la libertà di coscienza e di culto, la negazione
dell'autorità della Chiesa sull'ordine temporale ed esteriore, il
comunismo, il socialismo e il liberalismo. Quando nel 1870 il Governo italiano
poté procedere all'occupazione del Lazio e di Roma,
P. si
considerò prigioniero all'interno del Vaticano e con l'enciclica
Ubi
nos (1871) rifiutò di recepire la legge delle Guarentigie
(V. GUARENTIGIA). Nel 1874, la Santa Sede emise il
celebre
non expedit (V.) con il quale si
proibiva ai cattolici di prendere parte alla vita politica del nuovo Stato. La
preponderanza e lo spessore della dimensione politica del pontificato di
P. non possono né essere divise né mettere in ombra la sua
azione schiettamente ecclesiastica e dottrinale. Egli promosse e sostenne i
partiti e i movimenti cattolici in vari Stati, concluse concordati con numerosi
Paesi dell'America Latina; ristabilì le gerarchie ecclesiali in
Inghilterra, Germania, Paesi Bassi e Stati Uniti; istituì e
approvò numerose congregazioni di carità maschili e femminili;
diede impulso alle missioni in Africa e Asia. Il suo magistero portò alla
proclamazione di ben due dogmi: quello dell'Immacolata Concezione
(V.) nel 1854; quello dell'infallibilità
papale, votato all'interno dei lavori del Concilio Vaticano I convocato da
P. nel 1869-70. Gli successe Leone XIII (Senigallia, Ancona 1792 - Roma
1878).
Ritratto di Pio IX